LicenziamentoE’ legittimo, “per assenza ingiustificata”, il licenziamento del dipendente che si sia preso un periodo di congedo straordinario , “per assistere la madre”, senza però aver ricevuto il necessario via libera dalla sede dell’Inps. Ed è altresì legittimo il licenziamento del lavoratore che per due volte, nell’arco di una settimana, non si presenti alla visita medica obbligatoria prima del cambio di mansioni, affermando che il nuovo lavoro avrebbe configurato un demansionamento. Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di cassazione con le ordinanze nn. 26196 e 26199 depositate in data 06/09/2022.

La Corte di appello di Reggio Calabria, in relazione al congedo non autorizzato, aveva dato  e confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, condannando il datore di lavoro alla reintegra e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione.

Dopo il ricorso presentato dal datore di lavoro , la Sezione lavoro ha affermato che “a fronte della precisa individuazione della condotta materiale addebitata al lavoratore non si richiedeva, quindi, come viceversa ritenuto dal giudice del reclamo, anche la indicazione delle specifiche norme di legge o collettive violate, competendo al giudice la qualificazione giuridica dei fatti contestati”.

La Suprema corte spiega che il lavoratore decade infatti dai diritti previsti dalla “legge 104” (art. 33) “qualora il datore di lavoro o l’Inps accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti”. La fattispecie dunque doveva essere ricondotta, sotto il profilo sanzionatorio alla disciplina dettata dal contratto collettivo per la ipotesi di “assenza ingiustificata, non potendo in senso contrario rilevare il riferimento alla prassi tollerante adottata dalla società datrice di lavoro in precedenti occasioni”. Tali occasioni erano infatti diverse “in quanto, sia pure a posteriori, la assenza dal lavoro era risultata giustificata dall’intervenuto provvedimento autorizzatorio dell’INPS e la tolleranza della società aveva riguardato il ritardo con il quale il lavoratore aveva inviato la prescritta documentazione”.

Tornando al caso della mancata presentazione alla visita medica, la Cassazione afferma che il controllo sanitario era preventivo e prodromico all’assegnazione delle nuove mansioni e che l’omissione delle visite “avrebbe costituito un colposo e grave inadempimento di parte datoriale”.

“Coerentemente  è stata disposta, a seguito della contestazione della lavoratrice, una nuova visita, senza che fossero espletate le diverse e nuove mansioni; anche a tale visita la lavoratrice non si è, però, sottoposta”. Si tratta, conclude la Cassazione, di una reazione che “non è assolutamente giustificabile” ai sensi dell’art. 1460, vale a dire la norma che prevede una “eccezione di inadempimento”.

Da un lato, infatti, il datore di lavoro “si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti”.

L’articolo del codice invocato dal dipendente invece è applicabile “solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo (Cass. n. 836/2018): ipotesi, queste, escluse dalla Corte di merito con un accertamento in fatto, esente dal vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cpc (nuova formulazione) e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11430/2006)”.